Nel momento in cui riconosciamo la paternitá di Dio “Padre nostro…” é altresì necessario prendere coscienza che si tratta di un Padre “celeste” che però non si trastulla in uno splendido isolamento.
Non si tratta per noi della presa visione di una collocazione “fisica” del Dio e Padre a cui ci rivolgiamo in preghiera, ma del riconoscimento della sua trascendenza divina. Questa non impedisce a Dio di essere pienamente presente e attivo nella nostra realtà terrena tanto da determinarne quanto ha luogo. L’alterità di Dio non si traduce dunque in assenza dal mondo o in indifferenza verso le nostre vicende personali e nazionali.
Prendere sul serio l’alterità di Dio comporta fare altrettanto nei riguardi della nostra dimensione terrena. La Bibbia, cioè la parola di Dio, ci ricorda entrambe queste realtà (Deuteronomio 4,39), affinchè la prossimità di Dio (Deuteronomio 4,7) non ci porti a trascurare il fatto che mentre noi siamo in terra Egli è nei cieli (Ecclesiaste 5,2).
Solo una tale consapevolezza può inculcarci quel santo timore e quella riverenza che si devono al Signore cui ci rivolgiamo in preghiera. Senza la coscienza di questa alterità di Dio la nostra stessa orazione é una bestemmia! Il fatto di poter chiamare Dio “Padre nostro” non fa scendere Dio al nostro livello né innalza noi al suo. Egli resta nei cieli mentre noi siamo in terra. E ciononostante Egli resta un Dio presente e immanente. Per la bocca del profeta Geremia fa dire:
“Sono io soltanto un Dio da vicino, dice il Signore, e non un Dio da lontano? Potrebbe uno nascondersi in luogo occulto in modo che io non lo veda? dice il Signore. Io non riempio forse il cielo e la terra? dice il Signore. (23,23-24).
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